Qualche anno fa si è molto parlato di una sentenza di un giudice di Chieti che dichiarava che l’abbaiare del cane in casa è un diritto esistenziale del cane.

 

Tale decisione è stata interpretata come un passo avanti nel riconoscimento dei diritti del cane. Ma siamo proprio sicuri che sia così?

 

Da qualche giorno si è trasferito di fianco al mio appartamento un nuovo vicino, proprietario di un beagle socievole e coccolone. I lavori di ristrutturazione sono ancora in corso d’opera  e il cane è spesso lasciato con gli operai i quali, in determinati momenti della giornata, si allontanano.

 

Il bealge, lasciato solo, abbaia insistentemente, piange e gratta la porta di casa. Ascoltare quei lamenti è straziante. Si può facilmente immaginare quale disperazione lo attanagli. Ogni volta che ascolto quei lamenti, mi si stringe il cuore.

 

L’ansia che sale ad un cane quando soffre la separazione con il proprietario ha i toni dell’angoscia e della disperazione. Il terreno sotto le zampe sembra cedere e si lascia spazio ad un dolore difficile da sopportare. Al punto che i cani arrivano a graffiare porte, mordere muri, strappare oggetti, correre per casa, ululare, abbaiare, ansimare, sbavare, non trattenere le deiezioni.

 

Immagina un cane in equilibrio, tranquillo che aspetta il suo proprietario dormicchiando. Quanta sofferenza c’è rispetto a chi invece mette in atto i comportamenti prima elencati?

 

Se il cane abbaia, piange, graffia la porta, il vicinato avverte il proprietario nella speranza che si prenda un provvedimento. E se ciò non accade, la giustizia potrebbe spingere verso provvedimenti a favore del benessere del cane.

 

Ma se l’abbaio diventa un diritto, fino a che punto stiamo veramente andando verso una maggiore libertà di espressione del cane? 

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